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l giorno della marmotta richiama un film degli anni '80 in cui il protagonista si ritrova imprigionato in un meccanismo che lo costringe a rivivere gli stessi eventi: giorno dopo giorno si sveglia e si ritrova a rivivere la stessa giornata e, qualunque cosa faccia, gli stessi eventi ritornano il giorno dopo. I tagli ai salari e ai servizi sociali previsti dal Preventivo 2024 sono l'evento del giorno della marmotta, che si presenta ogni 2-3 anni e impone lo stesso copione agli stessi protagonisti, che fanno più o meno la stessa cosa e si ritrovano irrimediabilmente nella stessa situazione 2-3 anni dopo.
Come spezzare l'incanto? Come evitare di ritrovarci ai piedi della scala il prossimo anno e poi ancora negli anni futuri, così come è stato il caso da 30 anni a questa parte?
Occorre andare alla radice del problema, che in realtà non riguarda le finanze e l'economia ma la fede, una fede particolamente ortodossa che riguarda la teoria economica.
I grandi sacerdoti dell'economia ci dicono fin dagli anni '90 che "il pareggio di bilancio è la condizione imprescindibile per la crescita del Paese". Tanto sono stati convincenti che alcuni Paesi in Europa (inclusa la Confederazione e il Ticino) hanno ancorato questo principio in Costituzione.
Questo principio di fede, che in economia hanno chiamato "austerità espansiva" ormai viene dato per scontato, sia dal giornalista che lo suggerisce al politico e al sindacalista mentre li intervista, sia da questi quando rispondono, senza rendersi conto, peraltro, di cadere in una fatale trappola logica. Nella quale tendono a cadere anche tutti coloro che percepiscono l'ingiustizia dei tagli e la necessità di opporvisi, ma che ciononostante si sentono in soggezione di fronte al totem delle "finanze sane", e dunque si limitano per pudore nel fare affermazioni che possano suonare blasfeme.
Si tratta di una trappola insidiosa, che mina alle fondamenta la forza dell'opposizione ai tagli. Se infatti diamo per scontato che sia inevitabile "tagliare" per poter crescere, significa che, quando rifiutiamo un taglio qui, legittimiamo un taglio là. In altre parole, diventa un meccanismo all'insegna dello scaricabarile: "taglio sia, ma non a me: dunque a te!". È la "guerra fra poveri".
Ecco quindi che si capisce a cosa allude il termine solidarietà che qualifica il "contributo di solidarietà": mi sacrifico ad essere vittima dei tagli per solidarietà nei confronti di altre potenziali vittime...
Usciamo dal dogma di fede!
Se non si rischiasse di rasentare la volgarità, varrebbe la pena abbandonarsi ad un gesto liberatorio come quello di Fantozzi di fronte alla presunta sacralità della "Corazzata Potemnkin", unendo le voci in un coro: "È una c....a pazzesca!!!"
È una teoria già obsoleta, che non è peraltro mai stata dimostrata. E rispetto alla quale, anzi, alcuni dei suoi apologeti più sfrenati, all'interno del Fondo monetario internazionale così come su testate blasonate come l'Economist e il Finacial Times, hanno fatto abiura.
Una teoria che, dopo aver fatto strage nei paesi in via di sviluppo per mano dell'FMI, ha minato l'unità dell'UE con il suo fallimento nell'applicazione alla Grecia.
Una teoria che resta appannaggio solo di alcuni irriducibili fideisti che tentano di riprendere piede nell'UE e che alle nostre latitudini rivestono ancora ruoli di primo piano a livello politico.
Vitta, così come Masoni prima di lui, ripete da anni l'adagio secondo cui "la salute di un paese si misura dalla salute delle sue finanze pubbliche". Ma poiché non esiste una prova scientifica di ciò, né sul piano teorico né su quello empirico, si limita a dimostrarlo tramite le (apparenti) evidenze: "grazie a finanze sane abbiamo potuto far fronte all'emergenza Covid". Come se il Giappone, il paese più indebitato del mondo, fosse stato impedito dalle proprie "finanze malate" nella reazione alla pandemia...
La salute di un Paese si misura in primis dalla risposta ai bisogni della popolazione. E i bisogni della popolazione ticinese, la più vecchia e povera della Svizzera, evidentemente, si riflettono in una spesa pubblica alta e, dunque, in uno squilibrio tendenziale fra spese ed entrate, soprattutto se le entrate crescono sì (come ripetono sempre i fautori dei tagli), ma non a sufficienza per sopperire ai bisogni della popolazione.
E veniamo ai tagli dei salari della classe media (di cui fa parte la stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici e parapubblici) e delle prestazioni sociali/educative/sanitarie (che fungono da reddito in natura soprattutto per la classe media): finché per raggiungere il pareggio di bilancio ci si rifà sui redditi della classe media, questa non potrà fornire i mezzi fiscali per sopperire ai bisogni della popolazione e dunque le finanze torneranno ad essere in deficit, ancora e ancora..., ogni 2-3 anni, come nel giorno della marmotta...
Liberiamoci dalle catene dei pregiudizi economici e manifestiamo senza più alcun pudore o reticenza il nostro rifiuto di questa politica fiscale che imperversa da decenni e che sta affondando il Cantone.
La classe media del Canton Ticino deve tornare ad assumere il proprio ruolo centrale, ma per poterlo fare occorre che riconquisti un potere d'acquisto dignitoso. E per farlo si passa dai salari, che sono in assoluto i più bassi della Svizzera, e da un servizio pubblico di qualità, che evita l'erosione dei salari.
Dare un taglio, sì, ma non a salari e servizio pubblico, bensì un taglio ai tagli.
Quelli che, oltre a sfavorire i già sfavoriti, affossano la classe media.
Il comitato ErreDiPi