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Aria di tempesta

Si prepara una battaglia epocale per la sopravvivenza di quell'ampia classe media, frutto dello stato sociale costruito nel dopoguerra, che ha consentito al nostro Paese di passare senza troppi danni attraverso le varie crisi che si sono succedute a partire dagli anni 70, ultime quella pandemica e quella inflattiva, scatenata dalla guerra in Europa.


Da qui a breve saremo bombardati dalla facile e aggressiva retorica dei sedicenti difensori della gente contro i privilegiati, i fuchi dell'amministrazione pubblica. Inizieranno a prevalere le voci che suggeriscono ragionamenti semplicissimi e lineari, e per questo di facile presa. Un esempio fra i tanti del passato? Quello di chiudere le frontiere di fronte alla pandemia, alla guerra, ai lavoratori stranieri. Per poi scoprire che al virus non si può chiedere il visto d'entrata, che le ripercussioni della guerra non si annullano in terra neutrale e che, secondo la Supsi, nei prossimi 5 anni avremo bisogno di almeno altri 5000 manovalanti stranieri per evitare di ridurre altrettanti nostri giovani alla schiavitù del lavoro non qualificato.


Occorre dunque, finché siamo ancora lucidi, erigere il bastione della ragione a difesa della lucida comprensione dei problemi, guardando le cose con senso critico, così come ci insegna la nostra tradizione ellenistico-illuministica. Proviamo dunque a considerare una questione molto complessa in modo altrettanto complesso.


A livello federale si prospetta una stangata alle rendite di cassa pensione, tale che mettere seriamente a rischio quel quarto di popolazione ticinese che statisticamente risulta a rischio di cadere in povertà. Nel frattempo, in Ticino, lo Stato si accinge ad anticipare la stangata con una mossa che non trova eguali nella storia: una riduzione del 20% del potere d'acquisto della più vasta cerchia di famiglie del Cantone, quella che dipende dalla IPCT. Quella stessa cerchia che non più di 10 anni fa ha già lasciato sul campo un quinto della propria prospettiva di benessere. Questo è il contesto di quella che, in modo asettico, è la notizia comunicata agli affiliati alla IPCT tramite una breve annotazione in calce all'annuale relazione: dal 23 il tasso di conversione sarà ridotto di un quinto.


Sentiremo dire che riguarda una categoria di privilegiati, quella dell'impiego pubblico, ben remunerato e al riparo dai licenziamenti. Rileggiamo criticamente queste affermazioni: anzitutto gli affiliati alla IPCT costituiscono una platea ben più vasta del funzionariato pubblico e dei docenti; ma soprattutto, l'impiegato pubblico è l'unico che non vede una rivalutazione salariale dalla metà degli anni '90... A riprova, ciascuno vada a verificare l'evoluzione salariale della propria categoria professionale. Consideriamo inoltre che stiamo parlando di una fetta preponderante della classe media ticinese che, se spinta verso la povertà relativa, smetterà di incarnare l'ossatura economica del Paese e si ritroverà nella cerchia di famiglie, sempre più ampia, che sopravvive grazie ai sussidi di cassa malati.


Alla luce di queste considerazioni, la battaglia contro la riduzione delle rendite previdenziali è da considerare una pura difesa di privilegi di casta? Nessuno può negare che in passato molti dipendenti pubblici abbiano beneficiato di una Rolls Royce pensionistica, ma per quale ragione? Chi lo ha deciso? Il Parlamento, ossia i rappresentanti di quella società civile che oggi è chiamata alla cassa per finanziare quei privilegi che si sono trasformati in diritti acquisiti. Una società civile di cui fanno parte anche gli attuali assicurati attivi che, al contrario dei loro predecessori, alla fine della loro carriera lavorativa dovranno sopravvivere con una Trabant pensionistica. È la condanna della democrazia: una generazione di politici commette un errore di valutazione e le successive generazioni di contribuenti ne pagano le conseguenze. Senza che nessuno ne porti la colpa, nemmeno coloro che risultano privilegiati.


Ma questa stessa società civile deve evitare di correggere un errore commettendone uno ancor più grave: condannando le generazioni successive alla povertà. Occorre quindi che, tutti insieme, per garantire il benessere di tutti, oggi e in futuro, si dica un chiaro NO! alla riduzione del tasso di conversione IPCT.

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